lunedì 25 aprile 2016

Monument Valley

Il 18 aprile lasciamo il Gran Canyon dopo 2 giorni vissuti appieno al suo interno.  Usciamo dal lato est ed imbocchiamo la strada che attraverserà il vasto territorio Navajo, tra altopiani deserti e rocciosi a perdita d'occhio, solcati da canyon profondi.

 Siamo nel Little Colorado, pareti verticali di roccia grigia che nascondono in basso il letto di un fiume in secca. Tra i cespugli si aggira guardinga una lucertola spinosa del deserto in cerca di un anfratto sicuro dove riscaldarsi. Procediamo il cammino e per chilometri corriamo soli attraverso queste lande desolate, piane, dove non si scorge alcuna forma di vita. 

La strada taglia la vallata che si tinge di rosso per l'ossido di ferro e spuntano le prime conformazioni rocciose, alte e solitarie. È l'ora del tramonto, quando entriamo nella mitica Monument Valley: un esteso pianoro di origine fluviale, di terra rossastra su cui troneggiano,  come protagoniste indiscusse, le torri scarlatte dalla sommità appiattita e alla base un accumulo di pietrisco e arena. 

Come dei totem sacri sorvegliano la valle, tra anfiteatri rocciosi e monoliti a cui la fantasia attribuisce un volto. Sono testimonianze di milioni di anni di erosione e simboli mondiali del grande West.

              Tutto si tinge di rosso e le ombre di questi colossi si allungano sulla valle infuocata. 

Anche il giorno successivo è fantastico ammirarle alla luce diurna. La pista si snoda all'interno della valle che si tinge di verde per gli arbusti ed i cespugli rigogliosi in primavera. Risaltano imponenti guglie e  pinnacoli, verticali rocciose e macigni scivolati al suolo. 

Il sole riscalda l'aria secca del deserto. E più tardi, quando le luci si abbassano, si infiammano i meravigliosi monumenti della Natura, la' dove la terra incontra il cielo.

domenica 24 aprile 2016

Gran Canyon

Sabato 16 aprile lasciamo Flagstaff per dirigerci verso il Gran Canyon. La strada attraversa vaste foreste di alti pini imbiancati dalla neve della notte scorsa.

Più tardi, ampie vallate si estendono ai lati della carreggiata ricoperte di sola erba dorata e bassi cespugli. All'orizzonte, lande sconfinate  e inabitate.

 Poi, ci ritroviamo attorniati da folte foreste, quando entriamo nel Gran Canyon National Park che si estende per quasi 5000 kmq nello Stato dell'Arizona. Marciamo su di una via lambita da contorti ginepri dello Utah, pini "pignoni" , arbusti profumati, cactus bassi ed insidiosi, che nulla trapelano di ciò che di lì a poco si aprirà ai nostri occhi. Giriamo lo sguardo e tratteniamo il respiro e a stento le lacrime, alla vista del mitico 

Gran Canyon, una profonda gola creata dal fiume Colorado che da milioni di anni erode costantemente le rocce sedimentarie dell'altopiano in combinazione a diversi processi geologici avvenuti,  si stima, 2 miliardi di anni fa. È immenso e profondo,  un salto di più di 1500 metri nel vuoto, tra pareti a strapiombo, tagli e spaccature,

 tra rocce plasmate dall'acqua e dal vento che sferza forte e deciso. Arido, aspro e deserto, selvaggio e autentico. Nel fondo, serpeggia il Colorado con le sue acque smeraldo tormentate dalle rapide. Ci affacciamo da ogni punto panoramico suggerito dal percorso.

 Lo ammiriamo da ogni prospettiva, camminiamo per più di 10 km sul sentiero sull'orlo del precipizio, osservati da cervi ed alci, 

sino a che le ombre si allungano e gli  ultimi raggi del sole riscaldano ed  accendono i colori del Gran Canyon, imponente , maestoso ed emozionante difronte a noi.
 Rimaniamo in equilibrio su spuntoni rocciosi in bilico tra terra e aria per ricaricarci dell'energia che sprigiona questo sito ancestrale, provando strane sensazioni e forti emozioni:  ...la vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare..............


sabato 23 aprile 2016

Flagstaff e Sedona

Mercoledì 13 aprile arriviamo a Flagstaff, composta città dell'Arizona attraversata per un tratto dalla storica  "route 66" e lambita dalla più vasta foresta di pini "ponderosa" degli Stati Uniti . 
 

Il sole splende alto in cielo, l'aria e' frizzante per la quota, poco più di 2000 mt s.l.m., nello sfondo le alte montagne innevate dette  "the Peacks". Anche la ferrovia che per chilometri ci ha fiancheggiati per tutto il tragitto, solca la città ed i treni merci carichi di container passano lenti ma costanti per prolungati minuti, tanto son lunghi.

La mattina successiva partiamo alla volta di Sedona, cittadina nel cuore dell'Arizona, a 50 km da Flagstaff . La strada si allontana dalla città e si addentra  nella Coconino National Forest,  tra alti pini "ponderosa" che ombreggiano il percorso, scende per curve e tornanti e si insinua nel Oak Creek Canyon, una gola profonda erosa nel tempo dall'omonimo fiume che scorre nel fondo, tra querce e conifere, sino ad arrivare a Sedona, comunità sorta nella zona delle Red Rocks , un paesaggio di pinnacoli, pareti verticali, monoliti di roccia scarlatta che sovrastano e circondano la città. 

 Dalla cappella della Santa Croce, incastonata tra le rocce, la vista è spettacolare, come dall'elicottero che, per la prima volta sperimentiamo: si domina tutta la valle profonda con pareti a strapiombo e cattedrali di roccia infuocata dal sole al tramonto. 

Riprendiamo la via del ritorno per Flagstaff, dove soggiorneremo anche il
giorno seguente per la convergenza a Narciso, dato che i pneumatici anteriori si stanno usurando in maniera anomala e rapida.

Scende la sera e con essa anche un vento gelido accompagnato da una nevicata inaspettata. La temperatura precipita nella notte che trascorriamo sereni al calduccio nel Narci.


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mercoledì 20 aprile 2016

Entriamo negli USA

Mercoledì 6 aprile, salutato Mauro,  ci incamminiamo verso Mexicali, frontiera messicana con gli Stati Uniti. 

Attraversiamo un tratto piuttosto lungo di pista in mezzo ai monti rocciosi e inospitali in cui, i cantieri aperti, preannunciano la costruzione di una nuova strada. Ripreso l'asfalto, marciamo senza sosta tra le montagne color cioccolato, i cui versanti pietrosi scendono sino al Golfo di California. Ed e' proprio un promontorio isolato che ci invita a trascorrere la notte. Il cielo nero pece e' tempestato di stelle. Più tardi, il vento si alzerà forte e sibilante.

La mattina seguente, ripreso il cammino, corriamo su un lungo nastro grigio che sgomitola su territori piani e sconfinati, deserti di terra ocra lambiti da lagune salate prosciugate. Il cielo è plumbeo e squarciato da fulmini. I tuoni risuonano cupi e la pioggia non tarda a scrosciare.
Giungiamo a Mexicali, movimentata cittadina di frontiera , dove sosteremo un paio di notti prima di varcare il confine. 

Domenica 10 aprile salutiamo il magico Messico ed entriamo nei mitici USA.
Siamo nello stato della California,  arido e deserto, lande sconfinate tagliate da lunghe strade diritte. In lontananza solo qualche accampamento di roulotte e carovane come residenze abituali dei locali. Di lì a poco, ci ritroviamo in Arizona e lo scenario non cambia. 

Al tramonto, ci addentriamo nel Kofa National Wildlife Refuge, un'area protetta di più di 2500 kmq,  parte del Deserto di Sonora, destinata alla protezione delle pecore "bighorn"  e di altri animali selvatici endemici, oltre che a preservare la flora del territorio alle pendici dei Monti Kofa. Nel totale silenzio, siamo circondati da piante spinose, cactus, cespugli irti ed arruffati, qualche piccolo fiore colorato, rocce rosse e monti aspri. E nella notte, solo le stelle a farci compagnia.

La mattina seguente ripartiamo verso le sponde del Colorado River , attraversiamo chilometri di terre vaste e disabitate sino ad incrociare a Topock la "Historic Route 66" , una delle prime strade nazionali statunitensi che permetteva il flusso migratorio ed economico da est ad ovest degli USA, iniziando a Chicago e terminando a Santa Monica. La strada comincia a salire versanti brulli e rocciosi,  si inerpica tortuosa ed angusta, attraversando folcloristici villaggi il cui tempo si è fermato agli anni del suo massimo splendore. 

Pompe di benzina dismesse, vecchie insegne pubblicitarie arruginite, macchine d'epoca sul ciglio della strada che la patina del tempo ha saputo valorizzare, robivecchi e chincaglierie, locali in stile "anni'60"  tra "pin-up" e divi di Holliwood, motociclette cromate e cappelli da cawboy, tutto condito dalla popolare musica "country" .

È la mitica "66" , che corre come una vecchia pellicola cinematografica e noi protagonisti per un giorno!

martedì 19 aprile 2016

Bahia de los Angeles

Siamo ai primi di aprile ed ancora nell'affascinante penisola messicana. La strada come un zig zag solca montagne inabitate da est ad ovest ritornando a lambire il versante  sul Pacifico. Gli alti saguari ci accompagnano per tutto il tragitto.
 Qualche casa in legno spunta nel nulla a fianco di vecchi e sgangherati caravan. Raggiungiamo Guerrero Negro, cittadina nel deserto, sferzata dal vento. Poco più avanti, un cartello ci dà il benvenuto in Baja California, ossia nel nord della penisola. E la strada correrà per lunghi, interminabili chilometri, continua e diritta linea grigia indelebile su distese di terra sabbiosa, dove i cactus spariscono cedendo il posto a sporadici ciuffi spettinati dal vento.



 Arrivati al bivio ad un villaggio quasi fantasma illuminato dai caldi raggi del sole che cala, prendiamo a destra per Bahia de los Angeles, un'ampia baia sul Mar de Cortez, nuovamente sul versante orientale, punteggiata da numerose isole e isolotti.







 Il paesaggio si ripopola di saguari e di alti steli spinosi, ingentiliti da infiorescenze scarlatte all'apice. Compaiono strane piante dalle forme allungate, sinuose silhouette ricoperte di corti ramoscelli affogliati. Sono i "boojum tree" che si distinguono tra le molteplici varietà di piante grasse e succulente che ammantano i rilievi tutt'intorno a noi, arrossati dagli ultimi raggi di sole. 

                                             È buio quando arriviamo a Bahia de los Angeles. 


Cerchiamo la Posada di Mauro Rosini, amico in comune con Giorgio Ricci, anche lui romano che da più di vent'anni ha scelto di vivere in questo luogo sperduto, incontaminato, in apparenza aspro ed inospitale, affacciato ad una delle baie più scenografiche della penisola, collaborando con oceanografi, studiosi e documentaristi, insegnando nelle scuole, integrandosi con i locali ed aiutandoli con iniziative  stimolanti per la crescita del paese.
Saliamo per una pista ripida e sterrata, a ridosso di uno strapiombo, qualche curva ed arriviamo alla Posada, tipica costruzione messicana, dai muri spessi per l'isolamento termico, il tetto piatto e le colonne esterne in legno di cactus, sul cucuzzolo di un monte che alle spalle ha solo altri monti aridi e brulli, interamente costruita da Mauro, come la strada d'accesso. 

Difronte,  la baia degli Angeli, calma e rilassata che l'indomani, Mauro ci accompagna a visitare. La barca solca le acque quiete, le montagne aspre scendono a picco sul mare, sugli scogli,  colonie di cormorani e pellicani. Isolotti di sola nuda roccia sono ricoperti di guano degli uccelli che li popolano, colorandoli di bianco nel blu del mare. Le sule zampettano tra gli scogli e le aquile pescatrici nidificano nella sommità di uno spuntone roccioso. 

Cerchiamo, invano, i delfini che a migliaia popolano queste acque nel periodo delle sardine, come gli innocui squali balena, ormai emigrati lontano. Ma la fortuna ci assiste e inaspettatamente scorgiamo in lontananza delle grosse sagome scure emergere dalle acque piatte e placide della baia: due coppie di balene azzurre si corteggiano al largo. 

Le pinne dorsali ricurve emergono dall'acqua, gli spruzzi salgono alti in aria e il suono del loro respiro risuona sordo e profondo per tutta la baia silente, come una melodia cadenzata che ci accompagna lungamente e ci regala magnifiche emozioni.
Poco più in là,  un branco di festose foche gioca chiassoso e curioso attorno a noi.

lunedì 18 aprile 2016

Incontri

Martedì 29 marzo riprendiamo il cammino.
 La strada attraversa da ovest a est la penisola per risalire lungo la costa, ed è pieno deserto di soli cactus giganti, di "Joshua tree" e di rami contorti e irti di arbusti bassi e spinosi. Giungiamo sul promontorio che scende a picco sul Golfo di California, o localmente detto Mar de Cortez, un ricchissimo ecosistema dove convivono numerossissime specie faunistiche marine endemiche e migratorie, uccelli e piante autoctone.

Lo risaliamo verso nord e gli scorci su baie protette, spiagge bianche affacciate ad acque turchesi e cristalline si susseguono molteplici.
Presso l'ingresso ad una spiaggia ventosa incontriamo Jean Paul, viaggiatore assiduo in bicicletta, di sangue franco-uruguayense, nato in Brasile e residente in Francia, giramondo solitario che pedalando, pedalando ha attraversato tutti i continenti in lungo ed in largo. 

Con noi, anche i brasiliani Eleni e Sergio ed una coppia di giovani greci che stanno scendendo dall'Alaska al Sudamerica nel loro Westfalia.

Quanti incontri, quanti racconti, quante storie narrate sotto il sole e sotto le stelle!

venerdì 15 aprile 2016

Baja California Sur

Sabato 26 marzo nel tardo pomeriggio saliamo a bordo del ferry che nella notte ci condurrà da Mazatlan a La Paz, in Baja California Sur.

 Il traghetto attracca al porto d'arrivo e ai nostri occhi si presenta un panorama paradisiaco: il turchese dell'acqua declinato al celeste che sfuma al bianco cristallino toglie il fiato, le barche sembrano sospese tra cielo e mare, sullo sfondo rilievi brulli e deserti. I pellicani si tuffano con precisione sulla preda e poi sazi galleggiano sulle acque trasparenti.

Risaliamo la costa  est per l'unica strada principale che attraversa tutta la penisola da sud a nord. Corre morbida tra distese sconfinate popolate da soli saguari e altre succulente spinose e irte.

 I rapaci nidificano nell'alto dei pali lungo la careggiata. Alcuni villaggi spuntano nel mezzo del deserto.
I giorni a seguire procediamo e ci spingiamo verso ovest sino a raggiungere Puerto Adolfo Lopez Mateos, da cui partiremo a bordo di una "lancia" per avvistare le ultime balene grigie che, cresciuti i loro piccoli nelle acque del Pacifico ripartiranno a breve per il freddo Artico.

La luce calda del tramonto illumina le dune di sabbia dorata su cui zampettano gli aironi. Tra le mangrovie, un maschio di fregata gonfia il suo gozzo rosso per corteggiare le femmine vicine. Tra le onde, in mare aperto, iniziamo ad aguzzare la vista per individuare la presenza delle balene. 

Uno spruzzo, in lontananza, è la conferma che nuotano nelle vicinanze. Finalmente emergono per respirare e si scorgono nitidi i dorsi scuri di una balena e del suo piccolo. Madre e figlio, come in una danza, compaiono e scompaiono tra le onde. Si immergono e spariscono nelle profondità per un po'di tempo prima di riapparire ancora una volta ai nostri occhi sempre piu' ravvicinati, tanto che ne avvertiamo l'odore del loro "starnuto" . Il piccolo, forse incuriosito dalla nostra presenza, inaspettatamente fa capolino dall'acqua con la sua grossa testa. Che emozione! Quale miglior maniera per salutarci e congedarsi sino al prossimo suo ritorno in questi mari?

mercoledì 13 aprile 2016

Verso la costa pacifica

                                     Domenica 20 marzo lasciamo il santuario delle farfalle. 
Saliamo sino al colorato Angangueo, tra le stradine lastricate e pendenti, tra balconi e terrazzini fioriti, sino a ridiscendere in piano tra boschi e valli. Giungiamo alla splendida Morelia, passando sotto uno dei suoi 253 archi ben conservati del suo acquedotto, un'opera di ingegneria idraulica interamente ideata da un padre francescano spagnolo, dichiarato Patrimonio dell'Umanita' dall'Unesco.
 La città quasi interamente in stile barocco, vanta di edifici e chiese in marmo rosa, come la maestosa Cattedrale, nel cui interno, sovrasta le teste di centinaia di fedeli una dorata cupola decorata , mentre alle loro spalle, un monumentale organo di 4600 canne intona musiche sacre. 
È la Domenica dalle Palme e i sagrati delle chiese sono gremiti di ambulanti che vendono immagini religiose create con le foglie di palma intrecciate. 









Nei giorni a seguire continuiamo il cammino per raggiungere la costa sul Pacifico. Corriamo per larghe strade di montagna che via via scendono sino al livello del mare, attraversando zone disabitate, solcate da fiumi sormontati da vivaci ponti in ferro. 

Ricompaiono le palme ed il mare in lontananza. Lo costeggieremo per lungo tempo, su e giù per promontori aspri e sporgenti, scendendo sino a baie protette, per concederci qualche meritato bagno.

Risaliamo verso nord , passando per le spiagge lunghe e affollate di Porto Vallarta sino ad arrivare alla minuta Punta Mita dal cui porticciolo partiamo con un'imbarcazione a motore per raggiungere Islas Marietas, isolotti inabitati ricchi di fauna marina e popolati da decine di specie aviarie.
Tuffati nel mare ondoso,  visitiamo la più tipica tra le isole. L'unico accesso, un apertugio tra la roccia che si deve attraversare nel momento in cui l'onda si ritira e a nuoto si raggiunge il suo interno: un anfiteatro naturale roccioso che accoglie una minuscola spiaggia di arena bianca inondata dal sole che penetra dalla cavità superiore dell'isolotto su cui volano festose le sule dalle zampe azzurre.