sabato 23 luglio 2016

Entriamo in Alaska

Mercoledì 13 luglio, nel pomeriggio, dopo una sosta di un giorno a Dawson City di rientro da Inuvik,  saliamo sul traghetto che fa la spola da una sponda all'altra del fiume Yukon,  per risalire la Top of  the World Highway che ci condurrà con un saliscendi armonioso per colline e vallate, curve morbide e rupi scoscese, sino ad una piccola frontiera di montagna che, attraversata, ci introdurrà in Alaska.

È il 14 luglio quando giungiamo nel 49º stato dell'unione americana, denominato "l'ultima frontiera" , caratterizzato da pochi insediamenti urbani su vasti territori selvaggi e incontaminati, ricoperti per lo più da foreste, tundra artica e ghiacciai, bagnati da milioni di laghi e numerosissimi fiumi.

È proprio costeggiando uno di questi, su di una pista polverosa, che tentiamo la ricerca dell'oro, qui molto diffusa, e non tardiamo a trovare minuscole pagliuzze dorate che brillano tra il terriccio setacciato.
Ma un temporale che avanza furioso anticipato da un forte vento ci costringe ad abbandonare la ricerca e proseguire il cammino lungo la pista fangosa. E tra tuoni e lampi, lambendo boschi di abeti, da un lato e scarpate giù lungo fiumi in piena, dall'altro, giungiamo a Chicken, uno piccolo villaggio sorto come campo per i cercatori d'oro venuti da lontano, dapprima chiamato col nome di un uccello diffuso in zona, ma di difficile pronuncia e poi, per facilitarne la dizione e la memoria, nominato Chicken.
 A  conferma di ciò, tre polli giganti in metallo danno il benvenuto a turisti e viaggiatori che inevitabilmente passano di lì. Sosta obbligata al saloon omonimo per lasciare anche noi traccia del nostro passaggio tra la miriade di testimonianze di altrettanti passaggi precedenti.
Procediamo il cammino su per le montagne di Alaska, deserte e inabitate, popolate solo da alci che ti attraversano la strada ed orsi ben nascosti tra la boscaglia. La strada è ancora lunga e procede retta tra boschi di conifere e esili betulle che vibrano le foglie argentee al vento. In lontananza, un alto fungo di fumo bianco si leva in cielo. Più tardi, ci spiegano che si tratta di un incendio boschivo provocato da un fulmine del temporale appena passato. 

Corriamo ancora per un po' ed il paesaggio non cambia. Il silenzio è assoluto e nonostante la luce notturna ci addormentiamo beati.
L'indomani ripartiamo direzione Fairbank, ma prima decidiamo di raggiungere una località termale vicina, Chena Hot Spring, attraverso foreste che nascondono abitazioni in legno segnalate solo da numerose cassette postali sul ciglio della strada. Una tra tante, la casa di un anziano americano, solo con il suo cane e le sue svariate auto d'epoca disseminate per il giardino, restauratore e collezionista, che per professione o diletto, vende pezzi d'auto, targhe vecchie, emblemi cromati e oggetti coperti dalla patina del tempo.


 all'interno di una casa in legno sgangherata e malconcia, con un divano condiviso con il suo fido compagno ed un tappeto non spazzolato da tempo. Sul soffitto, appesa una decina di rostri d'auto d'epoca, un paio dei quali diventerà di Andrea, senza contare quelli all'interno di una coppia di bauli.
Più tardi, ci rilassiamo nelle calde acque di Chena Hot Spring.

venerdì 22 luglio 2016

Dempster Highway per Inuvik

Mercoledì 6 luglio lasciamo Dawson City ed imbocchiamo la Dempster Highway, 737 km di strada sterrata, ultimata nel 1979, che collega Inuvik, un villaggio all'estremo nord oltre il Circolo Polare Artico, al resto del Paese.

 Deve il suo nome al valido agente della Regia Polizia a cavallo canadese, William Dempster , che nell'inverno del 1911 parti' da Fort McPherson, a sud di Inuvik, con una slitta trainata dai cani alla ricerca di tre suoi colleghi dispersi, percorrendo l'allora pista ghiacciata, trovandone i corpi ormai deceduti per il freddo e gli stenti. 

È pomeriggio di una calda giornata estiva quando calpestiamo la Dempster Highway circondata da foreste che non trapelano alcuna forma di vita se non qualche lepre selvatica che rapida attraversa la pista. Poi, le conifere diradano, i fusti si abbassano e il paesaggio muta in vaste lande ricoperte di arbusti nani, muschi e licheni su terre pregne d'acqua che rivestono dolci rilievi ai piedi dei quali occhieggiano acquitrini su cui galleggiano indisturbate le anitre selvatiche e un alce americano solitario si sfama con le alghe dei fondali bassi e melmosi.
Varchiamo anche il parallelo a 66º33'23" di latitudine nord, il Circolo Polare Artico, e il vento frizzante sferza libero sulla collina portando con sé grosse nuvole scure che a breve scaricheranno abbondante pioggia.



 Rivoli d'acqua defluiscono dall'alto dei pendii ed alimentano torrenti che gonfi scrosciano a valle per ingrossare il Peel River ed il Mackenzie River che attraverseremo in traghetto.


 Le nuvole basse fagocitano il paesaggio che, avvolto nelle nebbie, si fatica a distinguere. Giungiamo ad Inuvik, remota cittadina nei Northwest Territories, sorta sulla foce del fiume Mackenzie, in cui si mescolano le etnie Inuit del nord e quelle Dene del sud ad immigrati anglofoni, dove si contano più zanzare che abitanti, creata negli anni '50 per offrire nuove opportunità alle popolazioni artiche, soprattutto dopo la scoperta del petrolio e del metano nel vicino Mar di Beaufort.

 Conclusa la visita al paese, ci prepariamo a ripercorrere a ritroso la Dempster Highway, immaginando le difficoltà di questi popoli, a spostarsi in quei territori inospitali prima della costruzione della strada, dove i rigidi inverni segnano temperature anche 50º C al di sotto dello zero, costretti un tempo a raggiungere i più vicini centri abitati a centinaia di chilometri di distanza con l'ausilio di imbarcazioni, velivoli o slitte scivolando sui ghiacci, con il rischio costante dell'attacco di orsi e lupi e delle insidiose zanzare in estate che infestano l'aria di queste zone paludose e fangose. 
Giungiamo al primo fiume, ma amara sorpresa, il Peel River ingrossato dalle piogge dei giorni precedenti non permette al traghetto di attraccare e costringe noi, come altri viaggiatori, ad attendere 3 giorni sulle sue sponde, affinché il livello si abbassi e consenta il passaggio di queste acque scure,  su cui tronchi e legni spezzati galleggiano inermi trasportati dalla forte corrente. 
Ripresa la marcia, il tempo volge al meglio e ci consente di spaziare lo sguardo laddove all'andata la foschia ce lo impediva. E tutt'intorno, stagni, lagune e corsi d'acqua che filtrano nel terreno spugnoso ricoperto di muschio e ed erba verdissima su cui si piegano al vento le piume rosate delle graminacee e candidi fiori,  esili come il bombaso. E vaste praterie punteggiate di bacche e mirtilli selvatici evidenziano carcasse di animali, vittime dell' istinto di sopravvivenza dei loro predatori.

 Corriamo spensierati per questa lingua di terra e scisto che poggia su un profondo letto di ghiaia flottante sull'instabile permafrost e, quando meno ce lo aspettiamo,  l'avventurosa Dempster Haghway ci regala un fuori programma inaspettato:  a 30 km da Eagle Plains, a metà dell'intero percorso, Narciso cede da un lato per effetto del pneumatico posteriore dx, completamente
sgonfio e stallonato.

 Più tardi, a ruota sostituita, ci accorgiamo di una vite entrata in profondità nella gomma, con conseguente foratura della camera d'aria. È tardi ormai e la notte, che è solo un tempo scandito sull'orologio, è splendidamente rischiarata dal sole che, come pronto a tramontare, non riesce a calarsi oltre l 'orizzonte per oscurare il cielo che rimane acceso grazie alla luce calda e avvolgente del sole di mezzanotte.

domenica 17 luglio 2016

Dawson City

Lunedì 4 luglio, lasciato Carmacks , crocevia sul quale termina la Campbell Highway per immettersi nella strada che salirà a nord, partiamo alla volta di Dawson City. Sono alcune centinaia di chilometri di strada poco trafficata tra le foreste dello Yukon ed i suoi numerosi laghi e corsi d'acqua sulle cui sponde alcuni pescatori attendono pazienti che abbocchi un pesce.
 Giungiamo nel tardo pomeriggio al paese e ci saluta la sagoma di legno di una dama di fine '800 su di un terrazzino di una tipica casa in legno dell'epoca. È il benvenuto a Dawson City, nel nord del Canada, città simbolo nel periodo della "corsa all'oro" nel finire del XIX secolo. È qui,  infatti, nelle acque del Bonanza Creek, affluente del Klondike River,  che trovarono per la prima volta l'oro. La notizia si diffuse a tal punto che il paese, da piccolo borgo si trasformò in una movimentata cittadina per il copioso flusso di gente che da tutto il mondo giungeva per cercare il prezioso metallo nelle acque dei due fiumi, per poi espandersi anche in quelle del fiume Yukon, tra Canada e Alaska. 
Testimonianza ne è anche la grande Draga , ora dismessa, monumento a cielo aperto, che campeggia immobile e malconcia sulle basse acque del Bonanza Creek. Tutt'intorno, accumoli di pietre e terra setacciati negli anni su una zona deserta ed ormai inoperante, raggiungibile da una strada sterrata tra i boschi, che come un campo di battaglia , accoglie inerme quel che resta di un attacco concluso.

La cittadina conserva ancora il carattere dell'epoca con le sue case rigorosamente in legno, le strade non asfaltate, teatri e saloon in perfetto stile "old west" e se ne respira l'aria tipica del periodo, passeggiando per le sue vie polverose, tra vecchie dimore di legno annerito sprofondate da un lato per effetto del permafrost, suolo perennemente ghiacciato tipico delle zone in prossimità dei poli, il cui strato superficiale scongelato nel periodo estivo rende instabile il terreno sottostante.
 Entriamo, altresi al museo che narra la storia del suo massimo splendore, aggirandoci tra le locomotive a vapore che sbuffavano a cavallo dei due secoli lungo binari interminabili, abbandonate poi laggiu' in territori remoti e selvaggi quando ormai anche la "febbre dell'oro"  scemo' il suo contagio.

E alla sera, dall'alto della Midnight Dome, un tramonto infiamma il cielo che si riflette sullo Yukon River ed arrossa la  Klondike Valley.

mercoledì 13 luglio 2016

Verso Watson Lake e Campbell Highway

Martedì 28 giugno lasciamo la zona dei parchi nazionali e da Prince George saliamo verso nord per la vecchia strada della "corsa all'oro" a fine '800, la lunga Cassiar Highway.
 È un paesaggio esteso di foreste impenetrabili che ricoprono i versanti dei monti da cui scendono numerosi torrenti e fiumi, ingrossati dal disgelo delle nevi invernali. I prati che talvolta interrompono il fitto degli alberi sono punteggiati da miriadi di grosse margherite miste a gialli ranuncoli e boccioli arancioni tra alti steli che sorreggono fiori lilla a pannocchia. Anche i laghi non tardano a mostrarsi nella loro implacabile quiete e serenità, usati come specchio incantato da milioni di fusti lignei che vi si affacciano quotidianamente.
Alcuni villaggi interrompono il ritmo pigro e assopito del viaggio, poche case in legno sui bordi di strade interne polverose e vecchi hotel dismessi in cui ci piace immaginare si riposassero stanchi cercatori d'oro dell'epoca. Attraversiamo qualche paese più nutrito in cui non si fatica a distinguere il volto tipico dei nativi.

 Diverse segherie espongono migliaia di tronchi accatastati, pronti a diventare legname da costruzione, fonte importante dell'economia canadese. In lontananza echeggia il fischio inconfondibile del treno merci che annuncia il suo passaggio, lento ed interminabile, lungo rotaie che corrono costanti e parallele all'asfalto e talvolta si perdono tra i boschi per riapparire dall'altro lato costeggiando un lago o risalendo un fiume. 
Il primo luglio arriviamo nel pomeriggio a Watson Lake, cittadina dello Yukon da cui inizia l'Alaska Highway, mitica strada che conduce in Alaska. E lì, tappa obbligata è il singolarissimo "Sign Post Forest" in cui migliaia di viaggiatori, passanti e quant'altro, negli anni hanno lasciato,  e continuano a farlo, una testimonianza del loro passaggio, così d'aver creato quasi un labirinto di alti totem su cui sono affisse moltitudini di targhe, oggetti personali, simboli, colorati ed originali.
 Anche noi, prossimi all'Alaska, non possiamo esimerci dal farlo e componiamo il nostro personalissimo segno distintivo trovando finalmente la giusta collocazione alla tabella di carico sporgente, che a lungo ci ha accompagnati senza una vera utilità. Scattate le foto di rito ripartiamo, ma non destinazione Alaska, non ancora, bensì Inuvik, all'estremo nord del Canada, passando per la Campbell Highway, un'alternativa alla strada tradizionale per Whitehorse. 
Sono circa 600 km di pista, ben battuta e scorrevole, che solca vasti territori inabitati, ricoperti di conifere e folti cespugli di rose selvatiche. Viaggiamo soli per chilometri senza incrociare un nostro simile, in compagnia di giovani orsi altrettanto solitari che timidi scappano tra l'erba alta appena odono il nostro passare.
 Quelli più veterani non temono la nostra presenza e continuano indifferenti a cibarsi di fiori e bacche rosse, mentre i cuccioli ancora ignari dei pericoli si arrampicano sugli alberi sotto il vigile sguardo materno. Una "moose" affonda le sue lunghe zampe nelle basse acque di uno dei moltplici laghetti che costeggiamo ed un paio di istrici corre goffo ed impacciato a nascondersi tra gli arbusti. 
Il buio non scende più a queste latitudini d'estate e, non rendendoci conto dell'orario, arrestiamo la corsa solo quando è la stanchezza a scendere. E nel silenzio denso e fatato dei boschi ci abbandoniamo a sonni profondi ed oniriche esperienze.

L'incanto di questi 3 giorni di viaggio sulla Campbell Highway è presto offuscato dalla rottura definitiva della molla posteriore dx già saldata in precedenza, questa volta ceduta in un altro punto. Per nostra fortuna siamo vicinissimi a Ross River, un villaggio di 400 anime più un meccanico che, nonostante il giorno festivo, aiuta Andrea a togliere la molla spezzata e, dopo una serie di valutazioni, a sostituirla con una di scorta che abbiamo, anteriore, più piccola e meno spessa. Ci sembra l'unica soluzione possibile in uno stato di emergenza che possa permetterci, incrociando le dita, di concludere il nostro viaggio, un po' più guardinghi e cauti alle buche.

martedì 5 luglio 2016

Banff e Jasper National Parks

Il 24 giugno rientriamo in Canada dopo aver ripercorso i vasti territori del Montana, così come si presenteranno quelli dell'Alberta.
 Le nuvole sono gonfie di pioggia ed il cielo plumbeo contrasta meravigliosamente con le gialle distese di colza fiorita, illuminate dai caldi raggi che fan breccia tra le nubi. Corriamo  tra pascoli verdi su cui ruminano pigre mandrie bovine e campi di grano dorato che faranno da alcova per le nostri notti. 

Dopo un paio di giorni varchiamo l'ingresso del Banff National Park , passando prima per l'omonima cittadina, fiorita ed assolata. Tutt'intorno foreste di alti pini ed abeti e montagne spolverate di neve, fiumi cristallini e ruscelli spumeggianti. 

Saliamo una strada secondaria tra i monti e poi a piedi, camminiamo per i sentieri nel bosco solcato dal Johnston Canyon da cui sgorga il fiume omonimo che lungo il suo percorso in una gola profonda origina spettacolari cascate che durante l'inverno completamente ghiacciate sono meta di numerosi scalatori. Procediamo alla volta del Lake Louise, sulle cui acque azzurre si specchia la cornice delle montagne attorno, così come sulle acque smeraldo del Moraine Lake.
 Percorriamo la scenografica Icefield Parkway lungo la quale si contano più di 100 ghiacciai che riverberano alla luce del sole. Uno fra tutti, l'Athabasca Glacier, dell'esteso complesso ghiacciato del Columbia Icefield sulle Montagne Rocciose canadesi. 

Camminiamo nella zona morenica sottostante ammirandone il suo fronte che si ritira con rapidità ogni anno e il suo discioglimento crea rivoli d'acqua gelida e pura che scorrono ai nostri piedi. I fiumi che scendono dai ghiacci corrono tersi e algidi lungo le valli che costeggiano la strada e le acque turchesi dei laghi risaltono incontrastate tra il verde delle foreste  circostanti. 
Curioso il Peyote Lake con la sua forma inconfondibile di muso di lupo. 
 Entriamo  anche nel Jasper National Park. Gli orsi non mancano e sul ciglio tra i cespugli si cibano di bacche. Più in alto, un gruppo di capre delle nevi dal manto spelacchiato per la muta, brucano su un pendio erboso.

 Sgorgano ruscelli, scorrono fiumi, abbondano laghi ed è un succedersi di scenari unici, un gioco di colori e forme, di forze e contesti che scorre inesorabile sotto i nostri occhi, di parco in parco.