mercoledì 13 luglio 2016

Verso Watson Lake e Campbell Highway

Martedì 28 giugno lasciamo la zona dei parchi nazionali e da Prince George saliamo verso nord per la vecchia strada della "corsa all'oro" a fine '800, la lunga Cassiar Highway.
 È un paesaggio esteso di foreste impenetrabili che ricoprono i versanti dei monti da cui scendono numerosi torrenti e fiumi, ingrossati dal disgelo delle nevi invernali. I prati che talvolta interrompono il fitto degli alberi sono punteggiati da miriadi di grosse margherite miste a gialli ranuncoli e boccioli arancioni tra alti steli che sorreggono fiori lilla a pannocchia. Anche i laghi non tardano a mostrarsi nella loro implacabile quiete e serenità, usati come specchio incantato da milioni di fusti lignei che vi si affacciano quotidianamente.
Alcuni villaggi interrompono il ritmo pigro e assopito del viaggio, poche case in legno sui bordi di strade interne polverose e vecchi hotel dismessi in cui ci piace immaginare si riposassero stanchi cercatori d'oro dell'epoca. Attraversiamo qualche paese più nutrito in cui non si fatica a distinguere il volto tipico dei nativi.

 Diverse segherie espongono migliaia di tronchi accatastati, pronti a diventare legname da costruzione, fonte importante dell'economia canadese. In lontananza echeggia il fischio inconfondibile del treno merci che annuncia il suo passaggio, lento ed interminabile, lungo rotaie che corrono costanti e parallele all'asfalto e talvolta si perdono tra i boschi per riapparire dall'altro lato costeggiando un lago o risalendo un fiume. 
Il primo luglio arriviamo nel pomeriggio a Watson Lake, cittadina dello Yukon da cui inizia l'Alaska Highway, mitica strada che conduce in Alaska. E lì, tappa obbligata è il singolarissimo "Sign Post Forest" in cui migliaia di viaggiatori, passanti e quant'altro, negli anni hanno lasciato,  e continuano a farlo, una testimonianza del loro passaggio, così d'aver creato quasi un labirinto di alti totem su cui sono affisse moltitudini di targhe, oggetti personali, simboli, colorati ed originali.
 Anche noi, prossimi all'Alaska, non possiamo esimerci dal farlo e componiamo il nostro personalissimo segno distintivo trovando finalmente la giusta collocazione alla tabella di carico sporgente, che a lungo ci ha accompagnati senza una vera utilità. Scattate le foto di rito ripartiamo, ma non destinazione Alaska, non ancora, bensì Inuvik, all'estremo nord del Canada, passando per la Campbell Highway, un'alternativa alla strada tradizionale per Whitehorse. 
Sono circa 600 km di pista, ben battuta e scorrevole, che solca vasti territori inabitati, ricoperti di conifere e folti cespugli di rose selvatiche. Viaggiamo soli per chilometri senza incrociare un nostro simile, in compagnia di giovani orsi altrettanto solitari che timidi scappano tra l'erba alta appena odono il nostro passare.
 Quelli più veterani non temono la nostra presenza e continuano indifferenti a cibarsi di fiori e bacche rosse, mentre i cuccioli ancora ignari dei pericoli si arrampicano sugli alberi sotto il vigile sguardo materno. Una "moose" affonda le sue lunghe zampe nelle basse acque di uno dei moltplici laghetti che costeggiamo ed un paio di istrici corre goffo ed impacciato a nascondersi tra gli arbusti. 
Il buio non scende più a queste latitudini d'estate e, non rendendoci conto dell'orario, arrestiamo la corsa solo quando è la stanchezza a scendere. E nel silenzio denso e fatato dei boschi ci abbandoniamo a sonni profondi ed oniriche esperienze.

L'incanto di questi 3 giorni di viaggio sulla Campbell Highway è presto offuscato dalla rottura definitiva della molla posteriore dx già saldata in precedenza, questa volta ceduta in un altro punto. Per nostra fortuna siamo vicinissimi a Ross River, un villaggio di 400 anime più un meccanico che, nonostante il giorno festivo, aiuta Andrea a togliere la molla spezzata e, dopo una serie di valutazioni, a sostituirla con una di scorta che abbiamo, anteriore, più piccola e meno spessa. Ci sembra l'unica soluzione possibile in uno stato di emergenza che possa permetterci, incrociando le dita, di concludere il nostro viaggio, un po' più guardinghi e cauti alle buche.

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