mercoledì 29 giugno 2016

Yellowstone National Park

Nei giorni a seguire continuiamo la marcia nell'esteso territorio del Montana, ricco di ranch e fattorie, dove mandrie bovine si alternano a cavalli allo stato brado. Uno stormo di pellicani bianchi si bagna nel rio poco profondo. Entriamo nel Wyoming e di lì a poco nello Yellowstone National Park dove ci dà il benvenuto una famiglia di cervi mulo che diligentemente attraversa la strada, abbandonando la radura erbosa per sparire tra i boschi.
 L'acqua è la regina incontrastata di questo Parco sotto ogni sua forma e stato. Solida, sulle cime più alte spolverate di neve e ghiaccio sui picchi elevati; liquida, sgorga trasparente e gelida dai torrenti, si muove lenta e carezzevole nei corsi d'acqua tra i canneti e tranquilla si riversa nei laghi azzurri, calda e trasparente ribolle nelle sorgenti solforose di natura vulcanica per poi sprigionarsi, sottoforma gassosa, dalle viscere della terra, originando potenti geyser , fumarole e vapori.

Spettacolari e uniche sono le numerose "hot spring", enormi occhi,  profondi nella crosta calcarea biancastra da cui sale, a formare piscine naturali, acqua solforosa così cristallina e priva di ogni impurità che sembra impossibile raggiunga più di 70º C , su cui aleggia costante un alone di vapore che si dissolve nell'aria
. I bordi di molte piscine, una fra tutte la rappresentativa Grand Prismatic Spring, sono l'habitat ideale per miliardi di microrganismi che si sono adattati a vivere in ambiente acido e solforoso dando origine a magiche colorazioni che virano al giallo oro , al corallo ed al rosso, con toni di ruggine e smeraldo, creando un magnifico contrasto con il turchese della pozza d'acqua.
 Sembrano crogioli in continuo fermento che sversano colate d'oro e bronzo su superfici bianco calce, eteree  come borotalco. Altra testimonianza artistica di Madre Natura, la magnifica Mammoth Hot Spring, un'imponente opera che, grazie alla combinazione di carbonato di calcio e magnesio ai minerali dell'acqua che stilla costante ha creato un gioco di terrazze a sbalzo con coni e stalattiti, depositi bruniti alti sino 90 metri.

 E nascosti tra le rughe della terra riarsa,  ribollono pozzi di fango grigiastro e crepe naturali alitano caldi vapori, borbottando sommessamente. Allontanandosi da questo luogo Dantesco, il Parco continua a splendere verde e rigoglioso di vegetazione e fauna selvaggia, come l'orso grizzly che noncurante della nostra presenza cammina goffo verso un tronco divelto per estrarne con foga un prelibato boccone.
 Anche la femmina di orso bruno con i suoi due cuccioli si aggira tra l'erba alta e i fiori selvatici e dopo un incrocio di sguardi, sparisce tra i boschi. 

Il lungo fiume Yellowstone che si gettera' nel lago omonimo dopo aver solcato tutto il parco, si tuffa irruento nel profondo canyon generando fragorose cascate. Dalle pareti brulle e scoscese scendono guardinghe le bighorn con gli agnellini a seguito che le imitano nei movimenti.  Un cervo wapiti si mimetizza tra gli alberi, confondendo le sue grandi corna tra i rami secchi ed i bisonti, massicci e possenti si muovono lenti e incontrastati sulle praterie verdeggianti. 
Cala la luce e noi ci addormentiamo nel dolce silenzio dei boschi.

Glacier National Park

Venerdì 17 giugno in tarda mattinata ripartiamo dopo una sosta di qualche giorno a Langley, nella Columbia Britannica, in Canada e ci dirigiamo verso est per raggiungere Fort Macleod, alle porte con gli Stati Uniti, dove incontreremo i nostri amici brasiliani Eleni e Sergio.
 La strada è lunga, ma rilassante per il tanto verde che ci circonda. Le foreste di conifere rivestono i versanti dei monti tra cui sgorgano torrenti in piena che ci accompagnano per il nostro perigrinare. Qualche giovane cervo sbuca tra i cespugli.  Costeggiamo laghi dallo specchio d'acqua immobile e assopito e valli punteggiate da bovini al pascolo. Entriamo  nell'Alberta e le terre si distendono e si allungano, si appianano e dilatano.

 Il 20 giugno usciamo dal Canada e rientriamo negli USA quasi in sordina, per una frontiera di montagna anonima e poco frequentata. Varchiamo anche l'ingresso del Glacier National Park che subito ci si presenta ricco di scorci incantevoli. 
Le acque blu e placide del lago rispecchiano le pareti rocciose delle montagne attorno le cui vette ancora mostrano i segni delle nevicate invernali. La strada stretta sale di quota e tra i boschi che via, via si diradano saltano cascate fluenti.

 Tra i picchi, il candore accecante dei ghiacci perenni colpiti dal sole si staglia a contrasto con le nude rocce grigie che supportano da millenni il peso di tali masse. Salta repentina una pecora delle Montagne Rocciose dalle grandi corna ricurve ed agile sparisce giù per la rupe. 
Spuntoni di roccia sporgono sulla carreggiata e ci costringono a marciare adagio e con cautela. Poi quando anche gli ultimi tornanti terminano, la strada scende morbida e segue le sponde basse di un ennnesimo lago calmo e disteso.

martedì 28 giugno 2016

Vancouver -Canada

È mercoledì 8 giugno quando scendiamo dai monti del Crater Lake National Park per proseguire per le strade dell'Oregon. Contattato Hans Mross , tedesco trasferitosi da anni a Langley, in Canada, vicino a Vancouver, meccanico specializzato Unimog e fornitore di ricambi originali Mercedes Unimog ha tutto quello che ci serve per rimettere in sesto Narciso, compresa la barra di accoppiamento, dischi freni anteriori ed un paio di pneumatici. 


Decidiamo, pertanto,  di partire alla volta di Langley che dista "solo" circa 800 km dalla cittadina statunitense in cui ci troviamo e rimandiamo la visita allo Yelloswstone National Park che e' a più di 1000 km, solo dopo la messa appunto del mezzo. 
Viaggiamo per le montagne dell'Oregon e dello stato di Washington, tra foreste fittissime e valli verdeggianti, tra villaggi con casette fiabesche e cittadine animate dai soliti fast-food. Giungiamo alla frontiera con il Canada che ci accoglie rapida ed indolore.
 Langley è a pochi chilometri dal confine e subito ci avviamo all'indirizzo di Hans, nelle campagne limitrofe, ai piedi di dolci colline, tra colture di mirtilli e prati ben rasati su cui sorgono colorate abitazioni in legno. Ci attende nella sua officina tra vari Unimog di clienti ed il telaio scrupolosamente restaurato di un Unimog 1550/L37.
Ci diamo appuntamento al martedì della settimana successiva per eseguire i lavori, dopo il suo rientro da un appuntamento a Calgary. Così, approffittiamo nel weekend di visitare Vancouver, che dista solo una cinquantina di chilometri dal paese. 
Sabato mattina, saliti sul bus, raggiungiamo la città che e' un tripudio di grattacieli dalle facciate interamente rivestite in vetro che riflettono palazzi in stile e sagome di altri colossi verticali dalle forme armoniose e modernissime.

 Ricca di verde, di fontane e sculture, giardini pensili e getti d'acqua, vanta di una lunga "promenade" che costeggia il porto, su cui galleggiano, oltre a splendidi velieri e scafi a motore, pittoresche case flottanti, uniche ed originali.





L'orologio a vapore sbuffa al trascorrere di ogni ora a Gastown, il quartiere più vecchio della città, le cui palazzine in mattoncini rosso cupo ben si intonano con le facciate cangianti della skyline nello sfondo.

 E a Granville Island è un trionfo di sapori e colori nel mercato coperto e un concentrato di botteghe artigianali e artistiche. La città brulica di gente di varie etnie e culture che si fondono in modo ordinato e disinvolto. 

La domenica, uggiosa e fresca,  è la giornata ideale per rilassarci nelle acque termali di Whistler sulle montagne a nord di Vancouver, dopo aver percorso una suggestiva strada panoramica sulla costa pacifica.

sabato 25 giugno 2016

A caccia di ricambi

Venerdì 3 giugno lasciamo San Francisco ancora avvolta dalla nebbia con la priorità di sistemare definitivamente Narciso che, nonostante convergenze,  bilanciature e giro gomme continua ad usurare i pneumatici a vista d'occhio associato ad un rollio anteriore sempre maggiore già a 70 km orari. 
Qui negli USA è veramente difficile trovare officine competenti in materia e se si parla di Unimog, ancora meno. Trivellato Mercedes Benz, il nostro contatto in Italia e' sempre pronto ad inviarci la ricambistica di cui necessitiamo, ma per ridurre i tempi, cerchiamo se possibile in loco. Cosicche' troviamo James, della Eurotech Services International, concessionario Mercedes Unimog che, chiusa l'attività da alcuni anni, si è ritirato nelle foreste dell'Oregon vendendo pezzi di ricambio Unimog.
 Non è facile scovarlo: la strada scorre lunga e piacevole tra i boschi fitti di conifere ed il traffico è quasi inesistente. In lontananza, si scorgono poche isolate abitazioni in legno nelle vicinanze di torrenti algidi e copiosi. Arriviamo ad Azalea all'indirizzo designato, quattro anime ai lati di una carreggiata tra i boschi, un micro ufficio postale ed una bottega di alimentari che funge anche da bar, edicola e rigattiere. Capiamo che forse il punto non è corretto e ci affidiamo alla disponibilità del proprietario che con un giro di telefonate riesce ad indicarci la posizione esatta ad oltre 20 km da lì. 
Riprendiamo la marcia in mezzo ai boschi, costeggiando un rio che ci indica il cammino sino ad arrivare al civico suggerito, ma ci troviamo difronte ad un cancello chiuso su un prato senza alcuna traccia di strada. Solo tre cassette della posta sul ciglio che non rimandano a nessuna abitazione. Dove siamo?  Il mistero si infittisce come i boschi che ci circondano, ma di lì a poco, si materializza un'amica di James che sa del nostro arrivo e ci invita a seguirla per condurci da lui per un sentiero che solca una valle nascosta nella foresta, attraversa un ponte di ferro con un cartello all'ingresso poco rassicurante, cavalli che brucano l'erba allo stato brado e case di legno nascoste tra gli alberi.

 Anche James vive in mezzo al suo pezzo di bosco, vicino al fiume, in compagnia della sua famiglia, in suoi tre cani e suoi Unimog d'annata. Trascorriamo con lui qualche giorno, ci riforniamo di ciò che serve per Narciso e ci rilassiamo nella pace e silenzio della natura incontaminata, giocherellando con il fido Nico, un grosso esemplare di pastore tedesco che si diverte a recuperare in un lampo qualsiasi ramo o pezzo di tronco tirassimo lontano.

Martedì 7 giugno lasciamo questo bosco incantato e la compagnia di James per dirigerci verso il parco vicino, non prima di percorrere una pista sterrata tra le foreste fiorite di rododendri e cornus selvatici, dove anche il sole fatica a penetrare. Giungiamo all'asfalto che ridiscende e risale, che attraversa paesini bucolici ed assolati e curva tra le montagne lussureggianti dell'Oregon,
 sino a giungere al Crater Lake National Park nel tardo pomeriggio accolti da un temporale estivo. L'indomani il sole torna a risplendere e noi ripartiamo alla scoperta di questo nuovo parco americano che deve il suo nome al fantastico lago le cui acque limpide d'origine nevosa riempiono la caldera originata dall'esplosione più di 7000 anni fa del monte Mazama. È blu, cobalto e profondo e le pareti rocciose a picco risaltano la circolarità del bacino, così vasto e capiente da impressionare. La neve ammanta i fianchi dei monti limitrofi e le vallate rivelano lingue di terra nera laddove il calore del sole l'ha sciolta.

lunedì 20 giugno 2016

San Francisco

E' fine maggio e la primavera è calda in California.
 La costa affacciata al Pacifico è alta e frastagliata ed il mare azzurro e freddo si infrange sulle pareti rocciose a strapiombo, la brezza mitiga l'aria e gonfia le vele di colorati kitesurf. 
Poi la strada continua più interna tra colline dorate e terre coltivate, paesini  calmi ed assonnati e lande estese e desolate, sino ad aumentare l'urbanizzazione, concentrarsi le vie di comunicazione ed intensificarsi il traffico. Siamo alle porte di San Francisco.
  L'ingresso alla città è sottolineato dal passaggio di un lungo ponte sull'Oceano che unisce nel punto più stretto le due sponde, su cui spuntano gli alti e specchianti grattacieli della skyline cittadina. Le salite vertiginose si alternano a discese ripide, costeggiate da abitazioni in perfetto stile vittoriano e viali verdi e fioriti. Il sole che ci ha salutati al nostro arrivo, ora si defila dietro una cortina di nubi dense, la temperatura precipita e la nebbia gelida e umida ci investe come le raffiche di vento che sferzano vicino al mare. 
Sappiamo essere sotto al Golden Gate Bridge ma anch'esso è completamente inghiottito dalla fitta bruma che nulla rivela. Solo l'indomani alzando lo sguardo al cielo opaco, riusciamo a scorgere a fatica la sagoma arancione del mitico ponte che si staglia a pochi passi da noi. Percorriamo a piedi i suoi quasi 3 chilometri di lunghezza, lanciando uno sguardo sullo stretto, il Golden Gate, che scorre circa 70 metri più in basso, unendo il Pacifico alla Baia di San Francisco. I grossi cavi di 93 cm di diametro sorreggono il ponte sospeso e si lanciano verso l'alto per raggiungere le due torri di 225 metri di cui non si scorgono le cime, avvolte dalla nebbia persistente che tutto cela.
In lontananza , l'isolotto di Alcatraz su cui sorge il famoso carcere di massima sicurezza,  ora chiuso e convertito in museo che per nostra sfortuna non riusciamo a visitare. 
Attraversato il lungo ponte, scendiamo a piedi lungo la spiaggia e costeggiando il mare, giungiamo ai diversi moli animati da ristorantini tipici e negozi di souvenirs. 
I vecchi tram milanesi qui ancora corrono efficienti per le strade di San Francisco e i "Cable Cars" eseguono le loro manovre di inversione sotto gli sguardi divertiti dei turisti. 

La tortuosa Lombard Street scende a serpentina tra folti cespugli di ortensie mettendo a dura prova i freni delle vetture che sfidano la pendenza. E noi rientriamo a "casa" riattraversando a piedi il Golden Gate Bridge, prima della chiusura notturna ai pedoni imposta per limitare i suicidi, con un ricordo vecchio 79 anni, l'età del ponte: un suo grosso chiodo rimosso e sostituito, gentilmente offertoci dagli operai che giornalmente manutentano questa grandiosa opera ingegneristica.