venerdì 19 febbraio 2016

Belize


Martedì 16 febbraio varchiamo il confine del Belize, salutando il Guatemala, una terra di differenti colori e paesaggi, di gente amabile, di grande storia e Civiltà.
Entrando, si nota immediatamente l'influenza britannica e non solo per la lingua inglese, maggiormente parlata, ma anche per l'architettura di alcune residenze e dai verdi prati ben rasati. 

Ma presto, questo stile ordinato e rigoroso sparisce e tutto cambia: dirigendoci verso la costa, lasciando la zona montagnosa, attraversiamo una estesa e fertile pianura alluvionale , interamente coltivata ad agrumi ed i villaggi che incontriamo sono costituiti da case a palafitta in legno, alcune malmesse, altre trascurate , abitati da popolazioni di discendenza multirazziale: meticci, afro americano, cinesi e indiani ed altre numerose etnie.

Con facce simpatiche, saluti spontanei e tanta disponibilità ci accolgono i locali dei piccoli villaggi sul mare di Hopkins prima, e Dangriga, poi. Ed i bimbi,  colorati nelle loro divise, affollano le scuole in riva al mare. Un incontro inaspettato ci riconferma che non esistono limiti per chi ha forza e volontà di viaggiare: lui svizzero e lei italiana, su di un sidecar assieme al loro figlioletto Leonardo di soli 8 mesi, stanno compiendo il giro del mondo. Un'avventura incredibile!

Proseguiamo verso Belize City e ci ritroviamo su di una pista di terra scarlatta, che prosegue lunga chilometri, attraverso distese pianeggianti, paludi e lagune.
In una di quest'ultime,  la Southerm Lagoon, ci ritroviamo a dormire, raggiunto il punto più estremo di una sottilissima lingua di terra che ne solca le acque ferme e pacate.

La mattina di giovedì 18 riprendiamo la pista bagnata dalle pioggie della notte. Attraversiamo qualche ponte in legno su fiumi nascosti dalla vegetazione silvestre, ci investe un acquazzone tropicale che subito dopo il sole allontana. Arriviamo a pestare l'asfalto e continuiamo verso la ex capitale. Giunti al suo piccolo aeroporto bagnato da piogge incessanti e vento generoso, prenotiamo per l'indomani il volo sul Blue Hole, una delle maggiori bellezze naturali del Paese.

Il piccolo Cessna 182 di 4 posti compreso il pilota,  ci attende sulla pista sul bordo del mare. C'è vento, ma fortunatamente un sole accecante. Decolla rapido e subito sospesi in aria apprezziamo, già dopo alcune miglia, il mare del Belize: 

 Sino a sorvolare il magnifico Great Blue Hole, una dolina carsica perfettamente circolare, dal diametro di oltre 300 metri. Un gigantesco occhio blue in mezzo all'atollo di Lighthouse Reef, le cui pareti verticali si inabissano per più di 100 metri, tra stalattiti lunghissime e passaggi angusti. 

Uno spettacolo della natura, che sorvoliamo anche a bassa quota per avvertire ancora un ennesimo brivido.

giovedì 18 febbraio 2016

Tikal

Lunedì 15 febbraio partiamo alla volta di Tikal, antica città della civiltà Maya, le cui rovine sono custodite all'interno dell'omonimo Parco Nazionale. 

 Non siamo soli, ma piacevolmente accompagnati da Eleni e Sergio, un coppia brasiliana di viaggiatori a bordo di una Land Rover 110,  conosciuti la sera precedente a Flores con i quali decidiamo di condividere questa visita al sito.

Splende il sole, la giornata è calda, entriamo a piedi nel parco e subito siamo accolti dalle urla ripetute di scimmie nascoste tra gli alberi. Ci incamminiamo per il sentiero e subito davanti a noi svetta in tutta la sua eleganza una ceiba, albero sacro ai Maya.

 Procediamo circondati da sola fitta vegetazione in cui i raggi solari faticano a penetrare quando all'improvviso, celato dalla stessa, ci appare maestoso il primo dei numerosi templi della città, risalente al periodo classico. È la parete posteriore, annerita dal tempo e dall'umidità della selva, in cui si riconoscono i glifi Maya, per questo nominato "il Tempio delle iscrizioni". Via via, si svelano ai nostri occhi,  le rovine del Palacio de las Acanaladuras, complesso residenziale  con più di 29 stanze rettangolari, monumentali templi a piramide, le cui gradinate irte salgono verso il cielo toccando più di 50 metri. E poi steli incise, altari, piazze, il tutto costruito secondo una precisa direzione astrale e per unici scopi religiosi. 

Una volpe grigia appare e scompare tra le rovine, un pavone ocellato zampetta vicino al  "Mundo perdido", la piattaforma più antica risalente al pre-classico, dove troneggia un'alta piramide per l'osservazione  del movimento astrale. Poco distante, la Gran Plaza, il nucleo della città in cui si possono ammirare le rovine dell'Acropolis Norte e di quella Sur e, uno difronte all'altro, il Tempio del Gran Giaguaro il più famoso al mondo e rappresentativo del Guatemala ed il  Tempio delle Maschere. Austeri,  geometricamente perfetti e suggestivi dall'alto dei loro 40 ed oltre metri. 

Il sole sta allungando le ombre e noi ci affrettiamo a salire sul Tempio del Serpente Bicefalo, la piramide di Tikal più alta, oltre 60 metri, 

da cui si gode di una vista magnifica: davanti a noi solo una estesa foresta vergine su cui lo sguardo corre lontano e la fantasia si perde nel tempo.

 Spuntano le sommità dei templi più elevati, che a poco poco si tingono d'oro, tra le urla festose di scimmie "ragno" ed il canto chiassoso di verdi cocorite.

domenica 14 febbraio 2016

Verso Peten

Venerdì 12 partiamo presto la mattina perché il prossimo tratto di strada sappiamo essere duro e impegnativo. 

La carreggiata si restringe tra il folto dei boschi, sale e scende di quota repentinamente grazie a pendenze piuttosto marcate e le curve a gomito si susseguono numerose. Il percorso non è molto frequentato se non da vecchi camion da carico, ricolmi di massi estratti dalle numerose cave che squarciano i monti. Inizia anche il tratto di sterrato, anticipato da una strada che presenta ancora qualche traccia di asfalto.


 La pista sconnessa riduce non di poco la velocità,  già ridotta in montagna. Solo sporadici incontri con indigeni che si procacciano del cibo o qualche spicciolo tappando le buche con sassi e pietre.

 Prosegue la pista trasformandosi in un largo sentiero di terra scura, talvolta fangoso per le piogge della notte precedente. Ai margini della strada, iniziano a comparire molteplici dimore in terra dai tetti di foglie di palme o fatiscenti baracche in legno dove nugoli di bimbi giocano divertiti. Le donne, ora coperte da gonnelloni arricciati e sottovesti appena svelate da camiciole in pizzo, trasportano in equilibrio sulle loro teste, grosse terrine colme di impasto per pane e tortillas o ceste di bucato da lavare al fiume. Gli uomini muniti di macete tagliano la legna per il fuoco o arano fazzoletti di terra con l'ausilio di buoi al giogo. Procediamo lenti sotto lo sguardo stupito e curioso della gente del luogo che risponde generosa ai nostri saluti. 
Termina anche lo sterrato e riprende l'asfalto che liscio scorre sotto le ruote del Narci. Altri paesi, altri sguardi, altre realtà nascote tra i monti ricoperti da fitte foreste impenetrabili sino ad arrivare a Coban, zona di piantagioni di caffè e cooperative dedite a lavorarlo.
Il giorno successivo, sabato 13,  cominciamo il tragitto sotto una pioggia fine e persistente. Saliamo, scendiamo, curviamo, attraversiamo villaggi indigeni e zone rurali, colture di caffè e di mais, paesini affollati nel giorno di mercato dove a malapena riusciamo a passare.

 La quota si abbassa e le vallate si estendono, le mandrie pascolano e i maiali rufolano tra i cespugli.
Smette di piovere e l'aria si riscalda. Uno spiraglio di sole fa capolino tra le nuvole bianche e gonfie. Entriamo nella regione di Peten, sino a giungere alla piccola Isla Flores sul lago Peten Itza che visitiamo con una simpatica moto ape, diffusissimo mezzo di trasporto pubblico qui in Guatemala.
L'acqua calma del lago riflette gli ultimi raggi di sole al crepuscolo.

Guatemala

Mercoledì 10 febbraio riprendiamo il cammino per addentrarci nel cuore del Paese, verso il lago Atitlan.

 I villaggi si susseguono ai bordi della strada che corre in quota: piccole case di terra ocra e legno sventolano variopinti panni ad asciugare; uomini ricurvi su vanghe preparano il terreno alla nuova semina; ordinati campi coltivati ad ortaggi rivestono dolci pendii baciati dal sole e le donne avvolte nei loro tipici abiti indigeni espongono frutta colorata e fresca verdura di stagione nelle bancarelle ai margini della carreggiata. Compaiono le conifere e scompaiono le piante tropicali, si infittiscono i boschi e aumentano i corsi d'acqua. 

La strada si fa più ripida e tortuosa, l'asfalto sempre meno intatto rende impegnativo il percorso. Un ponte ceduto ci costringe ad un guado. E poi ancora su e giù per la vecchia strada provinciale  angusta e poco trafficata , sino a scorgere le acque cangianti del grande Lago Atitlan e sullo sfondo il cono statuario del Volcan San Pedro. 

La notte trascorre tranquilla sulle rive del lago, a Panajachel.
La mattina seguente riprendiamo la strada montana che riprende l'ascesa sino a 2400 mt s.l.m. tra tornanti vorticosi e pendenze pronunciate. E poi  discese lunghissime a prova di freni sino a raggiungere Chichicastenango, ridente paese a 2170 mt d'altitudine, affollato e coloratissimo nel giorno di mercato.

E noi ci addentriamo per le sue vie gremite di  bancarelle sfoggianti artigianato locale, tessuti multicolori, fiori recisi, frutta  e ortaggi. 

Le donne mantengono la tradizione guatemalteca anche negli abiti che indossano: come gonna, un tessuto artigianale colorato avvolto ai fianchi ed una blusa dai motivi floreali o geometrici, il tutto stretto in vita da una larga cinta in tessuto. Anche gli uomini indigeni si distinguono per il loro costume tipico, il cappello a tese larghe ed il macete nel fodero di cuoio. Il mercato è un brulicare di voci, forme, colori, odori. 

Sugli scalini della chiesa immacolata un devoto brucia l'incenso. Al suo interno, cupo e suggestivo,  una donna raccolta in preghiera raggiunge l'altare in ginocchio, un uomo sparge petali di fiori sul pavimento tra dozzine di candele accese.

Usciamo dal paese per viuzze lastricate ripide e strette e proseguiamo la marcia verso la regione di Peten. E' ancora lunga la strada che più dolce si snoda tra rilievi verdi e coltivati, villaggi rurali dove la vita sembra svolgersi languida e rilassata. 

Ed anche noi ci abbandoniamo a un dolce sonno, tra i versanti montuosi di Sacapulas.

Guatemala : Antigua Guatemala

Martedi 9 febbraio salutiamo El Salvador per entrare in Guatemala da un piccolo passo fronterizio, nascosto tra i monti che di lì a poco inizieremo a salire.

 Verde e lussureggiante la vegetazione che circonda la strada sinuosa e lunga che, curva dopo curva, giunge a lambire Città del Guatemala dall'alto. Nella valle tra tre vulcani si mostra in tutta la sua modernità e popolosità, ricca di grattacieli e costruzioni innovative. 

per poi ridiscendere a poco più di 1500 mt verso Antigua Guatemala, tranquilla cittadina dal sapore coloniale, dalle pittoresche vie lastricate 

dell'epoca, dove si incontrano suggestive rovine di chiese barocche, piazze attorniate da sontuosi colonnati, antiche "pile" dove ancora oggi le donne indigene si riuniscono per lavare i panni.






Non molto lontano, le sagome dell' Acatenango e del Volcan de Agua. Di fronte a noi, la suggestiva presenza del Volcan de Fuego che proprio all'imbrunire decide di sputare nubi di fumo grigio e rossa lava incandescente che lenta scende sui suoi fianchi, regalandoci uno spettacolo unico ed inaspettato.












Costante brontola la notte e l'indomani, un velo di cenere ricopre anche il Narci.



martedì 9 febbraio 2016

Honduras - El Salvador

Domenica 7 febbraio al mattino usciamo dal Nicaragua ed entriamo in Honduras, apprendendo che per effetto dell'accordo denominato SEA4 tra i due Paesi uniti a El Salvador e Guatemala, godiamo, come migranti, di 90 gg complessivi per transitare nei 4 Paesi.

 Ovviamente, siamo sempre condizionati dal permesso di entrata del veicolo e dai giorni concessi per lo stesso, che per  l'Honduras, nel nostro caso, sono solo 3, dato che per l'alta criminalità nel Paese , ci consigliano gli stessi locali, di passare molto rapidamente. E noi, tempo 3 ore, lo attraversiamo, percorrendo la strada più breve, da frontiera a frontiera, 
  tra brulli rilievi e terre aride e ventose, spiacenti di non potervi sostare piu' a lungo per ammirarne le sue bellezze. Così,  lo stesso giorno, entriamo in El Salvador, unico Paese che registra il nostro ingresso solo nel terminale senza alcun timbro di entrata, ne' di uscita poi,  sul passaporto. Siamo accolti da gente amabile e pacifica che ci saluta al nostro passare.

Prima del tramonto, dopo chilometri di saliscendi continui tra monti aspri e ingialliti da secchi arbusti, giungiamo ad un piccolo villaggio in riva al mare, Playas Las Tunas.

 Il mare ritiratosi per la marea bassa, lascia umida l'arena scura che riflette gli ultimi raggi di un sole infuocato.
Lunedì 8, riprendiamo la marcia diretti a San Vicente, per immergerci nelle piscine di un parco acquatico immerso nel verde, ai piedi del Vulcano omonimo.

Lasciata la cittadina, sorvegliata dall'originale Torre dell'Orologio che svetta bianchissima sulla piazza centrale, riprendiamo la strada verso il confine che varcheremo il giorno dopo, osservati da lontano da imponenti vulcani.

Nicaragua

Venerdì 5 febbraio decidiamo di lasciare l'Isla de Ometepe di buon mattino , tentando di prendere il traghetto anche senza la prenotazione. E per nostra fortuna e malasorte di un camionista che ha rotto il cambio, riusciamo ad occupare il suo posto ed imbarcarci.

Come del resto successe all'andata!
Giunti nel continente, prendiamo la strada che ci condurrà ad un'altra spiaggia sul Pacifico, una delle ultime prima di allontanarci dalla costa e salire nell'entroterra. Il vento forte, che mitiga l'aria calda delle ore di punta, solleva vortici di terra rossa che corrono impazziti da un campo all'altro.
Si alternano terre secche ed aride a campi coltivati ad ortaggi e pascoli di bestiame . Ci soffermiamo a Leon , colorata cittadina di epoca coloniale, in cui, al Museo de la Rivolucion, difronte alla cattedrale,  ci viene narrata la storia rivoluzionaria sandinista durante la quale molti giovani persero la vita a difesa della Patria e di un ideale.

 Lasciato il caos cittadino, ci dirigiamo nella più tranquilla Playa Las Penitas per rinfrescarci nelle acque del Pacifico.

I cavalloni nell'Oceano non impediscono a colorate barche di legno di uscire per la pesca al calar del sole. 

L'indomani riprendiamo la marcia verso il confine con l'Honduras, attraversando ancora terre secche e deserte, sullo sfondo rilievi rocciosi ed aspri, qualche villaggio ai bordi delle strade desolate e buste di plastica che turbinano ad ogni folata di vento.

sabato 6 febbraio 2016

Isla de Ometepe -Nicaragua

Martedì 2 febbraio, nelle prime ore del pomeriggio, varchiamo il confine del Nicaragua. C'è ancora qualche ora di luce per prendere il traghetto per l'Isla de Ometepe nel Lago Nicaragua, il più grande lago del Centramerica. Il vento è molto forte tanto da creare un moto ondoso importante nel lago,  rallentando la corsa del traghetto. 

 Attracchiamo che ormai è buio e l'isola si svelerà l'indomani in tutta la sua naturalezza e semplicità di vita domestica , i villaggi rustici ai bordi di piste polverose sulle sponde del lago, carretti trainati da buoi, uomini a cavallo, maiali infagati che attraversano la strada. Ma soprattutto, la presenza predominante dei due vulcani,
 Concepcion, ancora attivo, e Maderas, ormai spento, con un lago pluviale all'interno del suo cratere. 
In kayak, percorriamo un tratto di lago per addentrarci in un ramo di acqua dello stesso che si insinua tra le terre attigue, formando un rio calmo e poco profondo, habitat ideale per tartarughe che si asciugano al sole caldo del pomeriggio, 

per coccodrilli immobili mimetizzati tra i rami, garze tricolore, garze tigrate , garzoni azzurri e altri specie di uccelli che zampettano tra le piante acquatiche in cerca di cibo. 

Giovedì 4, noleggiata una moto, decidiamo di fare il periplo dell'isola, in gran parte sterrata. 
Ma prima, trekking alla cascata di San Ramon nascosta nella foresta, in cima ad una salita sconnessa e pietrosa. L'acqua fredda e cristallina, sebbene non troppo copiosa per la stagione secca, ci regala comunque un bagno ristoratore sotto il salto importante della cascata che precipita dall'alto di rocce nere vulcaniche.
E poi ancora, all'altra estremità dell'isola, l'Ojo de Agua, altra piscina naturale di acqua vulcanica, trasparente e tonificante, ed infine un bagno nelle fresche acque del lago a Punta Jesus Maria, sotto l'occhio vigile e austero del Vulcano Concepcion.